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Inserito il 29 ottobre 2013 alle 22:00:50 da polarprof.

Ma i Cinesi non l'avevano gią scoperta?

Forse i Cinesi no (almeno per quello che se ne sa) , ma, come per molte altre scoperte, prima o poi salta fuori qualche precursore. In questo caso nientemeno che Cartesio.

La storia è curiosa. Cartesio era uno che amava tranquillità e riposo, in modo da avere tempo per seguire i suoi pensieri, e infatti usava alzarsi tardi alla mattina. Nel 1649 cedette alle insistenze della regina Cristina di Svezia e si stabilì a corte per insegnarle filosofia. Il guaio è che le lezioni iniziavano alle cinque di mattina e per di più in una stanza fredda: tempo pochi mesi e si prese la polmonite, che lo portò a morte l'11 febbraio 1650. L'ambasciatore francese si incaricò di spedire tutte le sue cose in patria, dove le avrebbe raccolte il fratellastro Clerselier; però la nave su cui viaggiavano naufragò nella Senna e il materiale si sparse, compresa una cassa con manoscritti e note del filosofo. Fortuna volle che la cassa fosse ripescata dopo alcuni giorni; le carte erano bagnate, ma con pazienza furono stese ad asciugare e furono recuperate. Clerselier iniziò a pubblicarle e le mise anche a disposizione degli studiosi, tra i quali anche Leibniz: egli si interessò ad uno scritto sui poliedri intitolato Progymnasmata de solidorum elementis risalente circa al 1630 e se ne fece una copia, ovviamente a mano. Clerselier morì prima di pubblicare tutti i manoscritti, e quello che qui interessa non si trovò più. Ma andò perduta anche la copia di Leibniz. O almeno così si credeva: nel 1860 il conte Foucher de Careil, studioso di Cartesio, sapendo delle copie fatte da Leibniz, andò a cercarle nella biblioteca reale di Hanover, ma non trovò la nostra tra quelle catalogate; per fortuna rovistò anche in un mucchio polveroso di carte non catalogate e la trovò.

Il manoscritto di Leibniz è difficile da leggere e ci vollero parecchi anni per ricostruirne in modo attendibile il contenuto. Qui si può leggere la versione pubblicata nel 1908 nel volume X delle opere, mentre una traduzione e informazioni esaustive si trovano nel bel libro Descartes on Polyhedra di P.J. Federico, di cui la biblioteca del Centro Morin ha una copia.

Cartesio non considera gli spigoli, ma conta le facce, i vertici e gli angoli interni delle facce: la conclusione interessante è che il numero di angoli interni è uguale a 2F+2V-4, da cui, tenendo presente che gli spigoli sono la metà degli angoli delle facce, deriva facilmente la formula di Eulero.

Naturalmente gli studiosi si accapigliarono sulla questione se Cartesio avesse scoperto la formula di Eulero, tanto che qualcuno la chiama formula di Descartes-Eulero, ma mi pare che per noi non sia molto importante.


 
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